All’inizio dell’anno, con venticinque amici, abbiamo fondato un’associazione per lo sviluppo della Democrazia Affettiva.

La nostra idea era che, per costruire un mondo migliore di quello in cui ci troviamo a vivere, dovevamo riuscire prima a immaginarlo e a narrarlo.

Un ragazzo felice

  • non ruba,
  • non uccide,
  • non si fa del male

La democrazia affettiva è per noi un punto di arrivo, ma anche di partenza, nel quale tutti, anche a prescindere dalla loro età, hanno il diritto di essere trattati bene, secondo valori quali la giustizia e il rispetto delle preferenze individuali.

Nelle relazioni tra adulti sono ammesse alcune deroghe a questa semplice regola: spesso i medici trattano scortesemente i pazienti, i mariti le mogli, i poliziotti i cittadini: in linea di massima il maltrattamento sembra inevitabile in tutte le relazioni nelle quali si giocano ruoli di potere.

Naturalmente ogni volta che un adulto sente che il maltrattamento ha superato i confini, se ne lamenta e cerca le strade, personali o legali, per fare valere quello che ritiene un suo diritto:

non permettere a nessuno, per nessun motivo, di trattarlo male.

Perché il maltrattamento e la scortesia rende peggiore il mondo nel quale viviamo.

Qui stiamo riflettendo sul diritto e sappiamo che di fronte alla legge siamo tutti uguali.

Magari è un principio che non viene rispettato, ma almeno è enunciato.

 

Di fronte all’educazione NO. Neanche il principio.

Eppure sono quelli i momenti fondamentali in cui i nuovi arrivati acquisiscono le basi delle relazioni che costruiranno l’alfabeto, la grammatica e la sintassi dello stare e fare insieme.

Qualunque ragazzo vi dirà che l’educazione non è mai un rapporto tra pari. C’è chi comanda e chi obbedisce. Chi giudica e chi punisce.

Per cui l’educazione non rappresenta un esempio di democrazia applicata.

L’educazione, che spesso ha anche paura di farsi prendere la mano dall’affetto, può essere, secondo i casi, una dittatura, una monarchia assoluta o, ben che vada, una monarchia costituzionale.

Molti bambini e ragazzi, intervistati su cosa pensavano della scuola che frequentavano, l’hanno paragonata a un prigione.

Sappiamo che sempre più spesso ci sono bambini molto piccoli che rifiutano l’idea di andare scuola. Per loro non è come andare dal gelataio: per noi è giusto che sia così. Si devono semplicemente abituare.

 

Esiste dunque un problema, spesso sottovalutato.

Noi facciamo vivere ai bambini un’esperienza di non democrazia nei primi anni della loro formazione dalla quale ci aspettiamo che si formino cittadini non solo rispettosi delle regole di convivenza, ma anche capaci di rifiutare l’uso della forza e del maltrattamento.

Si tratta di un palese non senso, ma nessuno ci ha mai prestato attenzione

Raccogliamo quello che seminiamo: dai rapporti di forza nascono rapporti di forza.

Mentre una democrazia affettiva

  • rifiuta sempre l’uso della forza nelle relazioni.
  • riconosce e rispetta le preferenze individuali, a partire dalla nascita.
  • Non giustifica le scortesie nell’educazione.
  • riconosce ai bambini il diritto alla facile felicità, che deriva dalla soddisfazione dei loro bisogni essenziali e dal non essere trattati male
  • favorisce l’assunzione della responsabilità̀ individuale nella scelta del modo di vivere le relazioni di prossimità

Nelle nostre giornate di studio stiamo sollecitando riflessioni, e raccogliendo dati, per capire se si può costruire un circolo virtuoso tra modello educativo e modello giuridico.Il modello educativo che abbiamo ereditato, e che continuiamo a utilizzare, è di per sé stesso un modello punitivo.

Cioè prevede che di fronte a un errore si possa ricorrere, per rinforzare l’azione educativa, a un provvedimento punitivo.

Fortunatamente con il tempo, e con l’evoluzione del rispetto del corpo dell’altro, abbiamo rifiutato le punizioni corporali. Una specie di “habeas corpus” applicato anche ai bambini, seppure con alcuni secoli di ritardo.

Restano però tutti gli altri tipi di punizioni afflittive, e affettive.

Noi stiamo cercando una modo di stare insieme che rifiuti l’idea che punire sia necessario per educare. E questo perché siamo convinti che una buona relazione sia la base per una buna educazione, mentre spesso l’educazione a ogni costo peggiora la relazione con conseguenze che poi possiamo vedere nelle aule dei tribunali.

Ma per quelli che sono convinti che non sia possibile rinunciare a far capire le regole attraverso le sanzioni esiste una domanda alla quale la giustizia ha già dato una risposta: da quando si può cominciare a punire?

Nel campo del diritto, infatti, esiste un’età prima della quale un bambino non è punibile.In campo educativo no.

Si comincia dalle piccole punizioni che danno i genitori ogni volta che vogliono correggere un errore e impedirne la ripetizione.

Poi la scuola, nella quale i bambini molto spesso prendono più note di quante, alla loro età, era capace di scrivere Mozart.

I bambini imparano molto presto che possono essere puniti. Anzi, che può essere necessario punirli, anche non riconoscendogli il diritto alla difesa: quando parla con un adulto autorevole, un adulto che vuole provare a difendere le buone ragioni del piccolo viene spesso considerato come se anche lui non avesse capito le regole del gioco.

Nell’educazione, come abbiamo detto, non esiste un momento a partire dal quale si può cominciare a farlo.

E qui probabilmente giocano un ruolo i nostri preconcetti: siccome temiamo che la situazione ci sfugga di mano, pensiamo di dover correggere con fermezza qualsiasi disordine.

  • Noi siamo spesso condizionati da una serie di preconcetti nei confronti dei bambini: li temiamo come possibili pericoli per l’ordine che, con molta fatica, abbiamo costruito.
  • Secondo Ian McEwan, in “Bambini nel tempo”, l’infanzia è una malattia dalla quale per fortuna si guarisce con il tempo
  • Freud considerava i bambini dei piccoli tiranni, Martha Nussbaum pensa che nell’infanzia si trovi l’origine del male radicale

Un bambino di pochi mesi che da un morso sulla spalla del babbo viene immediatamente redarguito e può sperimentare cosa vuol dire azione reazione. Tu hai dato un morso a me, io do un buffetto a te

  • Per un bambino è normale sentirsi disapprovato.
  • Sbagliano quando sono vivaci a scuola, sbagliano se mangiano lentamente o velocemente, se non fanno i compiti. Sbagliano se non obbediscono.
  • I ragazzi hanno, per noi, una certa propensione a stare dalla parte del torto.
  • Vengono giudicati, condannati e puniti, molto prima che questo succeda in un’aula di tribunale. Le loro spiegazioni sono considerate giustificazioni, perché li consideriamo dei potenziali manipolatori

Daniel Paul Scheber, giurista, nel suo Memorie di un malato di nervi, sosteneva che lo colpiva il fatto che Dio stesse sempre dalla parte di suo padre.

E alla fine succede che qualcuno finisca per sentirsi sbagliato. Peggio, irrecuperabile. Fuori dalle regole che non lo hanno saputo accogliere e in cui non riesce a riconoscersi più.

La maggior parte degli adulti la pensa come Julia, la protagonista di ECCOMI di S. Foer. «No» disse Julia, «volergli bene è più importante. E una volta scontata la punizione, si renderà conto che il risultato finale è il nostro amore, che ogni tanto impone di farlo stare male.»”.

 Punirli vuole dire sostanzialmente farli star male.

Il maltrattamento, dunque, ha ancora effetti desiderabili, educativi.

Naturalmente un bambino punito, a due, tre, quattro, sei, nove anni, non si sente amato, e non sentendosi amato impara che è meglio non fidarsi troppo.

Quali effetti collaterali avrà, nella crescita di un bambino, un sistema di giustizia che ricorre alla paura della punizione e che spesso viene sperimentato come arbitrario?

Cosa possiamo fare perché i ragazzi si fidino di noi, del modo in cui li trattiamo? Perché non si sentano soli di fronte alla vita?

Perché non imparino che fare, e farsi male, può dare risultati buoni?

Noi insegniamo ai nostri giovani che farsi del male, trattarsi male può essere utile per raggiungere un obiettivo. Siamo sicuri che il confine oltre il quale trattarsi male è pericoloso sia ben definito? Esempio anoressia

Non converrebbe eliminare del tutto il maltrattamento?

 

  • I bambini imparano la maggior parte dei loro comportamenti copiando i nostri.
  • Gli adulti si sentono superiori: la loro “superiorità” ha sempre a che vedere con capacità pratiche o intellettuali: controllo degli sfinteri, ad esempio. Ma anche rispetto delle regole per stare a tavola, lavarsi i denti, imparare a leggere e a scrivere e così via. Anche imparare a non creare problemi.
  • Questo senso di superiorità, e la fretta di educare, ci impediscono di dedicarci allo sviluppo del talento affettivo, che è proprio della nostra specie.
  • Spesso il modello educativo genera un danno, considerato inevitabile, della qualità affettiva della relazione. Un reato rappresenta la manifestazione del danno alla qualità affettiva della relazione.
  • La punizione non solo è spesso fuori da un contesto di giustizia, ma genera una rottura dei legami di fiducia, una gerarchizzazione delle relazioni e la possibilità che tutti, appena ve ne siano le condizioni, possano usare la forza.
  • Una certa quantità di forza, solo se usata da noi, è tollerata e giustificata dal fin di bene.
  • I fatti dimostrano che la forza è contagiosa e rappresenta un modello per altri comportamenti: usare la forza, socialmente, non è un tabù. Anzi la si può usare senza incorrere in sanzioni, se il fine è ritenuto buono da chi la usa.
  • Il senso di giustizia esce di scena.
  • I ragazzi spesso si sentono non compresi, non accolti, in una lotta sorda con il “potere” che non rispetta le loro preferenze
  • I piccoli della nostra specie sono molto intelligenti. Ma questa intelligenza si sviluppa in una situazione di totale mancanza di autosufficienza. Questa combinazione li rende molto condizionabili sotto il profilo dello sviluppo affettivo, emotivo e relazionale. Restano colpiti, condizionati dal modo in cui vengono trattati.
  • Esiste una dose di maltrattamento educativo inevitabile?
  • E, se esiste, ha delle conseguenze sulla vita individuale e relazionale?
  • Tutti concordano sul rapporto tra bambini maltrattati e il loro futuro di maltrattatori.

 

La qualità del presente che gli offriamo crea le condizioni per il futuro che ci daranno

  • Mancare di rispetto per educare educa solamente a mancare di rispetto.
  • Le nostre correzioni, che ricorrono a un uso moderato della forza, possono creare in noi l’idea che i bambini vadano continuamente corretti, anche se non delinquono, e ancora di più se delinquono?
  • Luoghi comuni dell’educazione:
    • La relazione educativa non può fare a meno dell’autorità, poiché si tratta di una relazione naturalmente asimmetrica.
    • L’educatore e l’educando sono su piani diversi, ed è proprio questo che rende possibile l’educazione
  • Dobbiamo cominciare a pensare che Diseguaglianza di fatto non significa diseguaglianza di diritto
  • Esiste anche un altro modello, che dovrebbe essere sostenuto dalle istituzioni educative, o reintrodotto dalle istituzioni dove si fa giustizia, basato sul rispetto delle preferenze, sulla rinuncia all’uso della forza, sulla fiducia, sull’autonomia e sulla responsabilità.
  • Per costruire un mondo pacifico, occorre avere strumenti pacifici di relazione.
  • Per costruire un mondo in cui nessuno fa male a nessuno, dobbiamo essere i primi a non fare male, neanche a fin di bene.

 

  • I bambini trattati bene sviluppano anche l’intelligenza affettiva.
  • Trattiamo bene i bambini: quando sarà il momento ci tratteranno bene
  • Trattiamoli bene, loro tratteranno bene se stessi
  • Trattiamoli bene soprattutto se hanno sbagliato

 

  • Il modo in cui trattiamo i bambini è condizionato da esperienze e sensazioni che fanno parte della nostra crescita.
  • Abbiamo perso la memoria di cosa vuol dire essere bambini.
  • Diventati adulti ci siamo convinti che avevano ragione gli adulti.
  • Per questo ci resta molto difficile immedesimarci nei nostri giovani compagni di viaggio, vedere noi in loro.

 

Il tribunale interviene in un momento di grave infelicità, personale e sociale, nel quale un adolescente ha deciso di non rispettare sé stesso e gli altri, per entrare nel mondo di coloro che si fanno giustizia da soli.

Queste situazioni raramente sono imprevedibili.

Certo dimostrano che noi siamo riusciti ad accogliere il segnale di malessere, e poi di rabbia, prima che diventasse reato. C’è stata una grande assenza.

L’incontro con l’istituzione giustizia può rappresentare per loro, e per noi, l’occasione per sentirsi parte della società e per trovare un ruolo per contribuire alla creazione di un futuro migliore, partendo da un presente in cui vengono aiutati a cambiare l’idea dei rapporti che si sono fatti in anni di incomprensioni

GIUSTIZIA PER CHI O CONTRO CHI

  • “E’ sempre un fallimento”, potrebbe pensare il presidente del tribunale, “trovarsi a giudicare qualcuno che è cresciuto in condizioni delle quali non era responsabile.
  • Dove era, in quei momenti, la società che doveva prendersi cura di lui, e che doveva evitare di insegnargli a farsi male?”
  • “Se io fossi nato a casa sua e suo figlio a casa dei miei genitori, io ora sarei un professionista e suo figlio un mafioso”, dice il condannato al suo giudice nel libro di Elvio Fassone, “Fine pena ora”.

 

UNA PROVA DI APPELLO

  • I ragazzi che delinquono chiedono giustizia per come sono o si sono sentiti trattati. E in qualche modo danno alla società che li vuole giudicare una prova d’appello.
  • Saltate il fosso dell’approccio educativo e venite a incontrarci.
  • Giustizia riparativa, giustizia rigenerativa. Giustizia ultimo appello alla società per chi ha sbagliato

 

LA GIUSTIZIA RIPARATIVA

  • Chi ha sbagliato ha fatto un danno alla società di cui deve rispondere e deve porre rimedio alle conseguenze della sua condotta irrispettosa.
  • La giustizia ha un ruolo riparativo del tessuto leso, individuale o sociale

 

LA GIUSTIZIA RIGENERATIVA

  • Quando a sbagliare è un ragazzo, occorre tener conto che nel commettere un reato ha fatto anche un danno a se stesso. E che nel creare questo danno a se stesso è stato istradato dal modello sociale in cui si è trovato a vivere.
  • Non basta quindi riparare il tessuto delle relazioni con gli altri, occorre rigenerare il tessuto della relazione interiore.
  • Per rigenerarlo, bisogna mettere in discussione anche il modello relazionale educativo.
  • Nella giustizia rigenerativa anche la società rigenera se stessa, rimediando a quelle scelte che hanno lasciato che un suo individuo crescesse in un modello conflittuale, della cui pericolosità sociale, e personale, non ha tenuto conto.

 

RUOLO DELLA GIUSTIZIA RIGENERATIVA

  • Tre sono i valori fondanti che vengono trasferiti da una generazione all’altra
    • La speranza nel futuro
    • L’idea che esiste una giustizia che pone rimedio ai torti fatti o subiti.
    • La certezza di non essere mai maltrattati.
  • La giustizia rigenerativa si assume la responsabilità di collaborare alla creazione di un modo di stare insieme più giusto e quindi più facile

PER CONCLUDERE E SOPRATTUTTO PER INIZIARE

  • Educazione e piccoli maltrattamenti continuano a frequentarsi
  • La giustizia può e deve smettere di farlo