La gentilezza: chiacchierata con Renato Palma

E’ sempre una grande gioia incontrare Renato Palma: tra i mille motivi c’è la sua straordinaria capacità di “raccontare” parole trasformandole in modi di essere: così è stato, per esempio, con la “facile felicità” (anche titolo di un libro di successo), con la “democrazia affettiva” (nome dell’associazione di cui è fondatore), e così è oggi per la parola “gentilezza”. L’occasione è data dal Convegno “La gentilezza e le sue declinazioni”, una giornata di studio sugli effetti della gentilezza che si terrà il 31 marzo prossimo a Firenze, alla Limonaia di Villa Strozzi: il titolo dell’intervento di Renato – La gentilezza non si insegna, si impara – è già un bel manifesto… Ne volevamo sapere un po’ di più, gli abbiamo fatto alcune domande e – ci crederete?!? – ci ha gentilmente risposto.

D: Buongiorno Renato! La prima domanda, forse la più banale: cos’è la gentilezza?
R: Possiamo partire dalla definizione dei dizionari: è amabilità, garbo, cortesia nel trattare con gli altri. E’ una parola di origini nobili, la Treccani la definisce come “Nobiltà, sia ereditaria sia (secondo l’interpretazione degli stilnovisti) acquisita con l’esercizio della virtù e con l’elevatezza dei sentimenti”. C’è una parola, in questa definizione, molto interessante: “acquisita”. Se siamo qui a parlane significa che la gentilezza ha bisogno di parole e di fatti. Non esiste prima della cultura umana: anzi, oggi grazie alla ricerca di Eibl-Eibesfeldt su amore e odio, sappiamo che la gentilezza è una costruzione umana.
D: Parli di amore e odio …
R: Sì, ma l’amore non è la gentilezza: non occorre amare per essere gentili! Gentilezza o scortesia dipendono dalla modalità con cui si stabilisce la relazione; la prima presuppone un rapporto tra pari, la seconda si manifesta nei rapporti “asimmetrici”.
D: E’ per questo – per riprendere il titolo del tuo intervento al Convegno – che dici che “non si insegna”?
R: Certo: la gentilezza non si insegna, si vive e si imita. I bambini imparano a parlare ascoltandoci, e così imparano la gentilezza imitandoci. Basti pensare all’idea “classica” di educazione a cui siamo abituati: spesso l’educazione è scortesia, nell’educare consideriamo inevitabili “piccole dosi di maltrattamento” e, con troppa superficialità, le pensiamo prive di conseguenze. Quando l’obiettivo diventa più importante della relazione è facile diventare scortesi…

D: Beh, tutti noi, chi più e chi meno, siamo cresciuti secondo questo modello educativo …
R: Certo, è proprio questo il punto! Le persone che si trovano ad avere un potere (genitori, medici, insegnanti, tutori della legge, giudici ecc.) sono stati bambini e hanno sperimentato come normale il linguaggio della scortesia. Se invece i bambini vengono trattati fin dall’inizio da pari (cioè senza ricorrere alla forza) sapranno essere gentili quando diverranno adulti: mi piace pensare che i ragazzi – trattati con amore e rispetto per le loro preferenze – diverranno adulti capaci di rifiutare la logica e l’utilità dei piccoli maltrattamenti, proprio come oggi noi rifiutiamo le punizioni corporali.
Sapranno stare in modo piacevole con i loro figli.
Parleranno, si abbracceranno, sorrideranno.
Giocheranno.
Sapranno che qualunque cosa accada, bella o brutta che sia, è meglio affrontarla con la cultura della gentilezza, quella cultura che avranno potuto imparare solo da adulti gioiosamente ben disposti verso di loro.
D: E quale ritieni sia la reazione più sana davanti ad atteggiamenti scortesi? Come ci si “difende”?
R: Io sono responsabile del mio comportamento e non voglio che la scortesia di un altro mi obblighi ad essere scortese. La relazione con gli altri è sempre la conseguenza della relazione con se stesso. Per essere scortese con chi è scortese dovrei diventarlo con me stesso. E visto che sono la persona che frequento di più non voglio rovinare una relazione a cui tengo molto …
D: Una vera rivoluzione copernicana dei sistemi di relazione!
R: Sì. Tutti sanno che a modellare il corso della nostra storia sono state tre rivoluzioni: la rivoluzione cognitiva: abbiamo imparato a pensare; la rivoluzione agricola: abbiamo imparato a procurarci il cibo senza doverlo andare a cercare; la rivoluzione scientifica: abbiamo imparato a renderci la vita più facile.
E’ arrivato il momento della quarta rivoluzione, quella affettiva: per renderci la vita ancora più bella dobbiamo smettere di maltrattare la natura, gli altri esseri viventi, noi stessi e i nostri figli.
D: Grazie, Renato! Allora ci vediamo il 31 marzo prossimo alla Limonaia di Villa Strozzi a Firenze!
R: Grazie a voi, a presto!