Molti autori di gialli sostengono la necessità di cercare la donna per capire la dinamica di un delitto.
Allo stesso modo in molte tragedie che colpiscono le donne andrebbe cercato l’uomo.
Ora lo sappiamo ma non era difficile immaginarlo.
Ma non è questo il punto su cui voglio riflettere.
Mi soffermo su due considerazioni.
La prima.
Andare a cercare nel passato lontano la causa scatenante di un suicidio è doveroso solo per chi non era presente. L’origine di un atto di violenza che coinvolge se stessi e i propri figli è più spesso da ricercare nella rabbia lucida, sorda, senza alternative. Senza futuro.
Certo fa più comodo a chi sopravvive attribuire la responsabilità a traumi del passato, inguaribili, a un eccesso di dolore radicato talmente nel profondo da far nascere il frutto del gesto insano, folle. Tutto quello che questa donna ha provato a fare ha condotto in vicoli ciechi e all’esaurimento della sua voglia di vivere.  In totale, drammatica solitudine.
C’è poi la scelta di uccidere, uno dopo l’altro, i due figli.
E questo è il secondo tema che lascia a noi che le siamo sopravvissuti.
Come può succedere che si possa scegliere di uccidere i propri figli? La risposta che ha lasciato scritta al marito è la stessa di Medea. Ora soffri tu, io non ce la faccio più.
Noi abbiamo bisogno anche di altre risposte per poter credere che episodi come questi non capiteranno mai più.
Un genitore uccide i suoi figli. Li considera suoi e quindi si ritiene autorizzato a scegliere per loro.
Da sempre i genitori si sentono investiti dalla responsabilità di decidere qual è il futuro migliore per loro. Lo fanno quotidianamente. Spesso non tenendo conto delle loro preferenze. Questo cibo ti fa bene. Mangialo. Questo indirizzo di studio non ti garantisce un futuro: meglio per te scegliere qualcosa che ti piace meno ma ti può garantire un lavoro. È così via. Spesso litigando o ricorrendo a punizioni e premi. Insomma spesso noi sappiamo cosa è bene per loro anche quando loro non sono d’accordo. E, scelta dopo scelta, li spingiamo verso il futuro che noi vorremmo per loro, per il loro bene. Ovvio che per farlo non dobbiamo tener conto delle loro proteste. Qual è il limite di fronte al quale dovremmo fermarci?
Dopo quello che è successo tutti potremmo dire: vita o morte. Ma quando  ci si avvicina a questo confine la sofferenza è ormai diventata troppa, l’uso della forza sembra inevitabile, la liberazione un miraggio. D’altra parte ho sempre scelto io per te, perché dovrei smettere proprio ora?